Presidente Bellini, lei è nato ad Ascoli, l’ha lasciata per costruire un impero, poi però non si è dimenticato delle sue origini…
‘Sono sempre stato un grande tifoso della squadra della mia città, fin da piccolo. Quando sono tornato con mia moglie ad Ascoli per la luna di miele la prima cosa che ho fatto è portarla al Del Duca per vedere una partita’.
Francesco Bellini è proprietario dell’Ascoli Picchio dal 2014, da quando cioè rilevò il club dal fallimento della precedente gestione. Da allora il suo impegno è via via cresciuto all’interno della società, passando dal 40% al 90% di oggi. In questo mese in cui è tornato in Italia, lasciando momentaneamente in Canada il suo impero economico nel ramo della ricerca farmaceutica, ha avvicendato tutta una serie di impegni su temi che gli stanno particolarmente a cuore: il rinforzo della squadra, attraverso il mercato di gennaio, la questione stadio, aperta con il Comune, e la gestione della società partendo dagli investimenti sul settore giovanile, come dimostra il terzo posto nel campionato Primavera.
Cosa l’ha mossa quattro anni fa a comprare il club?
‘La stessa motivazione che mi ha portato a prendere delle terre in questo territorio e a creare diverse società. Fare impresa partendo dalle passioni, come dimostrano le mie aziende agricole nate dall’amore per la natura e per lo stile di vita che essa può garantire. Tornando all’Ascoli, il presidente Benigni aveva già provato in passato a vendermi la società, così come da tempo si conosceva il mio interessamento per quella che da giovane era la mia squadra del cuore. Quindi il fallimento e l’arrivo, insieme a me, di altri soci ha reso tutto più semplice. Ricordo che c’era gente che piangeva di felicità e questo non lo posso dimenticare, in una città impoverita fortemente dalla recessione. Ricordo anche le promesse delle istituzioni, alcune delle quali non sono state rispettate’.
E il primo pensiero è stato creare il Picchio village…
“Mancavano le basi di una società, come ad esempio un centro di allenamento. Abbiamo messo insieme un pezzo dopo l’altro e oggi abbiamo una struttura all’avanguardia. Questo investimento è andato di pari passo con quello sulle giovanili, che come ogni investimento all’inizio produce perdite, ma nel tempo crea utili. E in questo a oggi posso dire che siamo stati bravi. Anche perché una città come Ascoli non è in grado di finanziare una squadra di B e, dunque, trovare talenti, venderli e con gli introiti finanziare la gestione societaria diventa fondamentale. Poi è normale che i tifosi vogliano risultati immediati. Tutto ciò è comprensibile, accetto le critiche, facciamo degli errori, accetto tutto, ma l’importante è non ripetere lo stesso errore due volte. Oggi l’Ascoli è una squadra giovane, non sta conseguendo i risultati che mi aspettavo per una serie di fattori, su tutti l’aver perso per molti mesi il giocatore su cui abbiamo costruito la squadra, Favilli. E lo abbiamo perso contemporaneamente ad altri titolari in un periodo in cui era impossibile rimediare sul mercato”.
A proposito della crescita di giovani, cosa ne pensa della Lega B e del nuovo corso del presidente Mauro Balata che vuole rendere questo ruolo ancora più centrale nelle politiche della Lega?
‘Io penso che stia andando nella direzione giusta e che questa azione possa essere funzionale per ottenere maggiore ricavi da distribuire alle società. Oggi le proprietà si trovano ancora nella condizione di ripianare le perdite, quindi incentivare ulteriormente il coraggio dei club nel far giocare i giovani, così come nelle previsioni di questa presidenza, mi trova d’accordo’.
Com’è il suo rapporto con Ascoli e gli ascolani?
‘Ho un buon rapporto con la città e con i tifosi. I problemi semmai sono altrove e mi riferisco con le istituzioni che anni fa al momento dell’acquisto promisero diverse cose che poi non si sono realizzate. Prendiamo ad esempio la realizzazione della tribuna laterale, sono mesi che viene rinviata l’apertura. Ora mi hanno parlato della prossima estate, il risultato comunque vada è che stiamo giocando in uno stadio che non è da Serie B’.
Che differenza trova tra lo sport oltreoceano e lo sport in Italia?
‘La mentalità imprenditoriale. Là si tratta di business, qui maggiormente di passione, di un qualcosa che è connaturato con la cultura di un popolo e di una nazione. Tuttavia le cose stanno necessariamente cambiando anche da noi. Inoltre le spese in Italia sono condizionate dall’enorme mole di tasse che c’è nel nostro Paese e dalla burocrazia, che c’è ovunque ma che da noi è opprimente’.
Un’ultima battuta sull’Ascoli?
‘Io, mia moglie, i miei ragazzi siamo tutti molto attaccati all’Ascoli; per noi è come una famiglia, i giocatori sono dei figli e la città è la mia casa’.