Si possono trovare differenti modi per raccontare Gianluigi Buffon a chi da domani non lo vedrà più in azione su un campo da calcio, alle nuove generazioni che saranno raggiunte dal mito.
Ma qualsiasi angolatura si sceglie, nessuna è sbagliata, e soprattutto, ognuna restituisce la dimensione di quello che è stato uno dei portieri più forti della storia di questo sport.
Si può scegliere la dimensione statistica, quella dei numeri. E allora si parla del portiere con più presenze in Serie A (657), quello più presente con la maglia più bella di tutte, quella della Nazionale (176 presenze). Parliamo del portiere che detiene il record di imbattibilità in massima serie: quei 974 minuti, traguardo che probabilmente resterà intatto per molti anni, se non decenni.
Viene allora incontro alla perfezione l’omaggio con cui Claudio Marchisio, uno dei suoi compagni di squadra, ha concesso per salutare Buffon: «Enzo Ferrari diceva: “date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un'automobile, sicuramente la farà rossa".
Allo stesso modo dite a quel bambino di disegnare un portiere su un campo da calcio e sicuramente disegnerà Gianluigi Buffon».
L’icona, l’esempio, l’ispirazione.
Buffon è stato tutto ciò ed è stato il portiere generazionale.
Un’altra delle sfumature possibili per raccontarlo in futuro potrebbe essere quella della dimensione temporale. Forse è quella che più di altre ha contribuito a disegnare su Buffon i contorni della leggenda. Un calciatore capace di prendersi la titolarità nel Parma di Nevio Scala, insieme alla sua occasione in Nazionale, quando non aveva ancora compiuto 18 anni, senza nascondersi dietro alla timidezza e all’acne che caratterizza i ragazzi e i calciatori di quella fascia di età.
Gigi Buffon è stato capace di giocare insieme a grandi calciatori, fino a diventare compagno di spogliatoio o avversario dei figli di alcuni di questi, grazie alla sua longevità che minimamente ha scalfito le qualità tecniche. È successo con Chiesa padre (Enrico) e Chiesa figlio (Federico). Ma da compagni e avversari anche con la generazione Thuram e Weah.
Dal punto di vista stilistico e tecnico ha messo d’accordo tutti. Dalle tifoserie italiane e internazionali, ai calciatori che aspiravano a segnarli un gol da poter esibire poi come un trofeo nel palmares delle proprie carriere. Buffon ha portato la Nazionale sul tetto del mondo nel 2006. In quella notte di Berlino, nella finale contro la Francia ci ha consegnato anche la fotografia che più di altre è capace di incastonarne lo stile: quel volo bello quanto efficace sul colpo di testa di Zidane è la copertina ideale dell’album delle sue parate.
Aveva iniziato la sua carriera professionistica col Parma, e proprio con i crociati l’ha chiusa per terminare nel migliore dei modi secondo lui, quel viaggio emotivo che è stata la carriera di Buffon.
Ha provato a portare il Parma di nuovo in Serie A in 2 anni e 43 presenze. Non ce l’ha fatta per un passo, fermandosi solo in semifinale nell’ultima stagione. Ad un passo dalla luna, come ogni volta ci ha fatto credere di poterla raggiungere con uno dei suoi voli.
Eterno, Gigi Buffon.